Layz, un artista poliedrico cresciuto con la musica di Renato Zero e Fabri Fibra che trova nel rap il mezzo per il suo riscatto. Il suo nuovo singolo, “Layz”, è la dimostrazione delle sue ambizioni e della sua necessità di esprimersi

 

Dal testo di “Lazzaro”, il tuo nuovo singolo, emerge molta sofferenza e disagio dato dal non essere accettati. Come sei riuscito a superare tutto questo?

Ad oggi non credo di essere riuscito a superare tutto ciò, sono un eterno tormentato ed è, assieme ad altre miscele, anche la benzina del mio motore, il rap. Comunque l’hip hop, per come lo vedo e lo faccio io, nasce da questi sentimenti di emarginazione, senso di derealizzazione e fatica ad esprimersi con altre persone, sono sempre stato chiuso in me stesso e in questo senso la musica mi ha salvato.

C’è una persona in particolare che ti ha spinto ad intraprendere questa strada?

No, non credo, a un certo punto mi sono reso conto che ogni cosa che facevo mi portava a pensare di voler fare questo. E un piccolo pensiero è diventata la mia vita. Però non c’è una persona in particolare che all’inizio mi ha spinto a intraprendere questa strada.

I tuoi genitori come vedevano inizialmente la tua passione per il rap?

I miei sono sempre stati dei gran lavoratori, avendo una famiglia numerosa si sono difesi come potevano. Non c’erano abbastanza soldi per un’ambizione apparentemente troppo grande, ho fatto l’alberghiero perché mi avrebbe permesso di andare a lavorare subito e aiutare in casa ma non appena è stato possibile mi sono trasferito e ho cercato di vivere la mia vita senza dare troppo peso a loro. Di certo non mi hanno mai ostacolato, era solo il sogno di un ragazzino in fondo. Poi hanno capito che ci credevo davvero.

Che generi ascolti generalmente oltre al rap?

Tanta musica italiana, sono cresciuto con la penna di Renato Zero per citarne uno tra i tanti. Fortunatamente a casa si ascoltava tanta musica, italiana per di più, e sono rimasto folgorato dal nostro cantautorato fin da piccolo. Erano poesie, mi ricordo ancora l’emozione che provai quando ascoltai per la prima volta “Via del campo” e succede tutt’ora. Penso che questo sia anche stato uno dei motivi per cui poi mi sono appassionato al rap.
Oltre alla musica italiana, amo la musica di Manu Chao lo ascolterei per ore e ore e il blues della scuola di Sonny Boy, Etta James, Muddy Waters, e tutto quel filone anni 60 e 70.

Tra tutti i big della vecchia e nuova scuola c’è un rapper in particolare con il quale ti piacerebbe collaborare?

Ce ne sono tanti, sicuramente quelli che mi ascoltavo da ragazzino in primis. Te ne dico uno Fibra, il suo rap è unico per questo è ancora tra i migliori dopo tanti anni.