Davide Calandra, artista poliedrico dalla molte sfaccettature, racconta la sua personale visione del Rap e della musica.
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Come hai iniziato a fare musica?
«All’età di 6-7 anni, cantando musica pop e proseguendo facendo karaoke e piano bar. L’approccio al rap è iniziato a 12 anni iniziando a comporre i primi testi, conoscendo le basi della musica mi componevo le basi da solo.
Il primo disco che lanciò la mia carriera, Effetto Placebo, uscì nel 2016, dall’anno seguente ho proseguito con aperture di vari live, Mecna, Achille Lauro, e molti altri.
Facevo attorno alle 20 mila views su Youtube, che per l’anno 2016 erano tante, al pari degli emergenti dell’epoca che oggi sono diventati big.
Ho sempre ascoltato qualsiasi tipo di genere, dal rap ai cantautori italiani, e oggi questo si riversa nella mia musica».
Che progetti hai per il futuro?
«Dopo aver fatto uscire tre nuovi singoli dopo il primo disco ho iniziato un nuovo progetto chiamato “Preludio”. Abbiamo fatto uscire un nuovo pezzo ogni due settimane, arrivano a 5 brani totali che formano un EP, totalizzando circa 200mila streams su Spotify.
Attualmente lavoro a un nuovo disco, curato anche da Sergio Mari (Hit Beat Records).
Mi reputo un artista più da disco che da singolo, mi piace concentrare un concetto all’interno del disco e comunicarlo attraverso varie sfaccettature che mi rappresentano, mi definisco un “Mixtum compositum”».
Puoi spiegarci il significato di questo termine?
«E’ un termine che deriva dai miei studi di giurisprudenza, ricorre molto spesso in ambito legislativo.
Si può spiegare per il fatto che, a livello socio-culturale, ho miscugli di varie culture e generazioni differenti, queste influenze si manifestano nella mia musica.
Mixtum compositum vuole identificare la mia musica come qualcosa di inaspettato, diverso, in cui l’interconnessione fra i vari pezzi è la scrittura: concettuale e introspettiva, direi psico-esistenziale.
Con il prossimo disco vorrei sancire questo concetto, senza spiegarlo a parole ma facendolo ascoltare e comprendere.
Mixtum compositum vuol dire essere veri, reali, senza essere “costruiti”. Ritengo che tutti siamo un mixtum in quanto diverse influenze e situazioni ci cambiano.
Per un musicista possono essere vari stili di musica, senza avere limiti (nessun limite come limite)».
Scena e musica attuale, come il marketing influenza la musica?
«Parlando con uno dei miei maestri di chitarra, anche lui produttore, si rifletteva sul fatto che tante volte chi fa musica è perchè non sente nella musica esistente quello che vorrebbe. Non essendo soddisfatto inizia quindi a produrre lui quello che vorrebbe sentire, che non c’è ancora.
Ci sono molti artisti, sia nella scena Rap italiana che non, che proclamano i loro dischi come diversi e innovativi, ma che poi suonano tutti uguali.
La mia idea è che ascoltando un disco la prima canzone non sia come la seconda, e quest’ultima come la terza e cosi via. Un disco dev’esser vario, sento raramente dischi che suonano differenti. Credo che un po sia per la paura del personaggio che si va a creare dietro l’artista, da cui non ci si voglia distogliere, si segue qualcosa di costruito in quanto i fans si aspettano quella cosa da lui.
Io cerco di tirare fuori quello che penso, non seguendo un personaggio, senza costruire nulla a tavolino.
Tanti dischi, anche nel Rap italiano, oggi come oggi durano un mese. Ci sono artisti, come Marracash, che su un disco ci stanno anche 2/3 anni però quando lo fanno poi rimangano.
Un aneddoto su Marracash? Viene dello stesso paese della Sicilia da cui viene pure la mia famiglia, e questo mi ha sempre motivato».
Un’artista con cui vorresti collaborare?
«Apprezzo molti esponenti del cantautorato italiano: Battisti, Califano, Battiato. Ecco, vorrei fare un feat con lui, con Battiato.
Cerco un’artista che possa dare qualcosa che a me manca, da cui possa imparare. Da alcuni esponenti della scena attuale potrei imparare solo come fare meglio marketing, come vestire meglio, come avere un approccio Social per diventare virale, ma non mi interessa.
Un’altro arista che posso dirti è Salmo, viene da un ambiente musicale, più di tanti altri, non voglio dire che per fare musica devi essere musicista: la musica sta nell’aria, il primo che la coglie la fa sua, ma ci sono quelli che non capiscono nulla di musica, capiscono il trend del momento e iniziano a fare il musicista. Questi vengono apprezzati molto di più dalla massa, se sei musicista vieni apprezzato molto più dai musicisti.
Ho collaborato con molti musicisti, Paolo Baglioni (batterista di Piero Pelù), Tiziano Borghi (produttore di Mina, tastierista di Nek) ho anche un band con cui arrangiamo i pezzi quando andiamo live.
In Toscana stimo molti artisti, ma qui è molto più difficile emergere, anche se coi social oggi si può arrivare ovunque. Quelli della mia epoca che sono cresciuti (anche musicalmente) a Milano, li sfiderei a fare quello che hanno fatto partendo dal mio paese della Toscana. Ho dovuto imparare a fare tutto da me, tant’è che oggi ho lo studio».
Un tuo pezzo che ti rappresenta?
«Un pezzo molto iconico in cui si può vedere la mia vena cantautorale ed esistenzale è Numeri.
Nel 2018 invece usciva Gucci Mama, un brano di cui vado molto fiero, la mia prima apertura al genere Trap, si classificò in classifica MEI».
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Info/contatti: riccardoberetta@hiphopitaly.com
di: Riccardo Beretta